Camera con vista

In: Profili| Regno Unito

5 nov 2012

Risulta impresa assai ardua voler scrivere della Monarchia Britannica prescindendo da quel leone in gonnella che fu la Regina Madre: personaggio importate per la storia inglese quanto lo fu Churchill, personaggio il cui nome era il primo che Hitler aveva sulla sua lista di nemici da eliminare, personaggio che per ultimo in Europa ha avuto dignità imperiale: Imperatrice Consorte delle Indie.

Era il 1941 quando Buckingham Palace venne bombardato, ed ecco una delle tante frasi destinate a renderla celebre e amata per sempre: “Now we can look the East End in the eyes (Ora possiamo guardare negli occhi l’East End)”. Poche parole, ma pregne dell’essenza di questa Piccola Donna.

A causa infatti di quella bomba caduta su Buckingham Palace, la Famiglia Reale non aveva più barriere fisiche per vedere da casa propria il quartiere più povero e bombardato di Londra, ma soprattutto e finalmente, grazie a quella bomba tedesca, il Re e la sua Famiglia erano accomunati in tutto e per tutto agli altri inglesi.

Comunione di sorte che già prima di quell’esplosione esisteva: a Buckingham Palace regnava infatti la stessa austerità imposta ai vizi e virtù dei comuni mortali. Sgomenta Eleanor Roosevelt scoprì che la Casa Reale viveva di razioni e si vestiva con i coupon, e che l’acqua nella Regale vasca da bagno non poteva superare gli otto centimetri.

La bomba che doveva portare al fine della Monarchia, altro non fece che rafforzarla ancora di più; ma non era certo di quell’ordigno che la Regina aveva bisogno: lei era già entrata nel cuore dei suoi sudditi con un’altra frase celebre, scolpita nel mito della Monarchia inglese.

Invece di portare le Principessine in campagna o in Canada, Elizabeth rimase accanto al marito. “Le ragazze non possono partire senza di me; io non parto senza mio marito, e Sua Maestà non abbandonerebbe mai il suo posto”. 
Tutti i giorni, tra i bombardamenti, la Coppia Reale si recò a portare solidarietà alle vittime: ogni sua apparizione era vissuta dai londinesi come un miracolo e un alone magico ha sempre accompagnato la Piccola Regina ad ogni suo passo.

Magia che certo non finì con la scomparsa del marito.
 Secondo la consuetudine dinastica, la morte precoce di Giorgio VI nel 1952, a soli 56 anni, avrebbe dovuto segnare il suo ritiro a vita privata. Al trono sale la figlia ventiseienne, per il Regno Unito si chiude simbolicamente la lunga parentesi dell’austerità postbellica e in giro c’è voglia di allegria, di novità, di gioventù. Tutte le attenzioni sono spostate sulla nuova Regina assai carina, dall’aria innocente ma decisa, sul suo bellissimo marito Filippo d’Edimburgo e sui piccoli figli, Charles e Anne. E per chi vuole glamour e basta, c’è invece la bella e irrequieta sorella, Margaret, ancora nubile.
 Per l’ex Sovrana, a soli 51 anni, poteva essere l’eclissi definitiva. Ma la madre della nuova Regina non ha nessuna intenzione di lasciare, anzi vuole raddoppiare. Con straordinaria faccia tosta trattò subito con la Corte per stabilire la sua nuova posizione costituzionale ed economica. Come aveva già dimostrato con Wallis Simpson, e come avrebbe fatto quarant’anni dopo con Diana, vincere una battaglia con la Corte è cosa da poco.

Sul piano economico le viene concesso tutto ciò che vuole: la aspettano altri cinquant’anni da allegra vedovanza. Ma è sul titolo che la vedova di Giorgio VI compie il suo capolavoro: diventa ufficialmente “Queen Elizabeth, the Queen Mother”, cioè Regina due volte. Proprio come gli americani dicono di New York: “New York City, New York”, per meglio esprimere la leggenda. In più, mantiene il diritto alla firma “Elizabeth R.” (R come Regina, fedele al suo credo: “una volta Regina, lo sei per sempre”), un’anomalia costituzionale stravagante e impossibile da ritrovare nel passato. Neppure la teutonica suocera, la Regina Mary, aveva ottenuto tanto al momento della vedovanza.

I suoi istinti e i suoi pregiudizi politici saranno sempre quelli edoardiani, piuttosto reazionari. Si sussurra che fosse decisamente classista, un po’ razzista e fieramente nemica dell’Europa unita.

Ha tanto ammirato la Thatcher, quanto detestato le pallide correttezze politiche di Tony Blair. Durante le sue irrinunciabili uscite in pubblico, a piedi e negli ultimi anni a bordo di una golf-buggy appositamente adattata per gli adorati bagni di folla, non ha mai detto una parola di troppo. Non ha perso il senso della misura nemmeno per quella fenomenale kermesse oceanica che è stata la parata popolare in onore dei suoi cent’anni, a Londra nel 2000. 
Le sono sfilati innanzi migliaia di ammiratori, appartenenti alle diverse organizzazioni cui era legata, da presidente onorario o da semplice militante. Una scena surreale, che si è consumata per ore lungo il Mall, il viale trionfale che lega Trafalgar Square a Buckingham Palace, passando per casa sua, Clarence House. Reggimenti e bande militari, squadre di boy-scout e di girl-guide, casalinghe della Women’s Institute e veterani della British Legion, il sindacato degli agricoltori e il circolo delle ricamatrici, persino un drappello di punk in alta uniforme. Ogni gruppo era accompagnato da un apposito carro carnevalesco con tanto di tableau vivant in omaggio della benamata centenaria.

Fu una comunicatrice naturale, la Queen Mother ha persino inventato un suo personalissimo stile di saluto regale (il gesto evoca quello di avvitare una lampadina posizionata poco sopra la testa), molto sbeffeggiato dai comici ma molto amato dal popolino. Soprattutto, non si è mai mostrata annoiata dalla gente. È stata lei, in occasione di un viaggio in America nel 1938, a inventare il royal walkabout: la tecnica ormai copiata anche da molti politici di creare empatia con la folla fingendo ogni tanto di individuare nella mischia una vecchia conoscenza (in realtà un perfetto estraneo) e lanciandosi in brevi ma efficaci battute di circostanza. Se sua figlia Elizabeth è paragonabile a papa Montini per il carattere austero e cauto, la Regina Madre è decisamente come Giovanni XXIII: solare e sorridente, amabile anche per i non credenti.
 Qualsiasi filippica antimonarchica, in Inghilterra, era destinata a spegnersi nel silenzio e nella generale riprovazione al solo nominare il suo nome: “Vabbè facciamo eccezione per la Queen Mum, lei sì che è diversa dagli altri”. E tutti le hanno sempre perdonato anche la quasi patologica gestione delle finanze, compresi il seguito di quarantacinque inservienti e lacchè sparsi in cinque residenze private, i fiumi di champagne e di gin, le cene di gala, il guardaroba, la scuderia con gli splendidi cavalli da corsa.

Del resto, quando nacque il 4 agosto del 1900, erano altri tempi: la regina Vittoria stava ancora sul trono e tutte le nazioni europee, tranne la Francia e la Svizzera, erano monarchie. Quando, nel 1923, dopo tre anni di ripetuti rifiuti, finalmente cedette alle ardenti ma impacciate proposte di matrimonio di Alberto, duca di York, il balbuziente e timidissimo secondogenito di Giorgio V, la sua esperienza di vita era quella di qualsiasi aristocratica scozzese di inizio secolo: un’educazione rigorosa e puritana, un certo sfavillante lusso e poche responsabilità. I seguenti tredici anni passano nella relativa penombra del ramo cadetto: dà alla luce due figlie, Elizabeth (1926) e Margaret Rose (1930). L’abdicazione nel 1936 del cognato David, dopo pochi mesi sul trono come Edoardo VIII, le sconvolse la vita. A causa delle trame di quell’impresentabile divorziata americana, Wallis Simpson, il suo amato Bertie è obbligato a salire sul trono, senza avere la preparazione pratica né psicologica per il ruolo; un ruolo che gli peserà in maniera immensa. Per anni la Regina Madre, dopo la morte del marito, si riferirà alla Simpson come “colei che uccise mio marito”.
 Al di là di questi rancori, per la trentaseienne duchessa di York, l’imprevista promozione è però una sfida. Sarà lei la grande suggeritrice di Giorgio VI, circondata da geniali maghi dell’immagine come Beaton e Hartnell: pochi mesi, e i sudditi imperiali hanno già dimenticato il trauma dell’abdicazione. Come sarà per Diana rispetto a Charles, è lei il centro dell’attenzione; ma per il timido Bertie è tutto di guadagnato. Ma se l’odiata cognata americana le ha regalato la Corona, Hitler le ha offerto un’inossidabile reputazione di eroismo e abnegazione durante i micidiali bombardamenti del 1941.

La guerra trasformerà i pessimi rapporti con Churchill, e si formerà anzi un formidabile terzetto patriottico, composto dal timido ma coraggioso Re e dai suoi due fidati mastini: la moglie e il premier. Se Churchill fu il cervello e la voce dello spirito britannico, Elizabeth ne fu la musa, l’anima.

Una musa che da sola ha forgiato la moderna monarchia massmediatica; e, assieme a Winston Churchill, è a tutt’oggi il simbolo più amato del patriottismo britannico. Indubbiamente la Regina Madre fu un concentrato di carisma. Forse perché ha sempre saputo calibrare le giuste dosi di inavvicinabile eleganza e di volgarità popolana, di stoica dedizione alla Regale Vocazione e di spudorato edonismo spendaccione. Ma soprattutto è sempre stata pronta a recitare la sua parte in una commedia che per lei è durata oltre un secolo;
 lady, duchessa, Regina, Imperatrice e infine Regina Madre. Ma ancor di più grande attrice, primadonna e instancabile mondana.

Fiero totem delle tradizioni imperiali e militari per la vecchia guardia nostalgica (era colonnello in capo di decine di reggimenti), tribuno del popolo (la sua foto mentre tira una pinta di birra dietro al banco è da sempre la classica effigie che adorna le pareti di ogni pub di quartiere), è stata icona del diversamente sensibile prima di chiunque altra, prima di tutte le Garbo, le Callas, le Carrà e poi delle successive misere sciacquette dei giorni nostri. 
La sua immagine è stata per decenni gestita da amici omosessuali: il sarto Norman Hartnell che ha inventato il suo implausibile e stravagante look, il suo fotografo ufficiale Cecil Beaton e il brillante drammaturgo Noel Coward, animatore di lunghissime nottate mondane. Loro tre, insieme a Churchill, Hitler e ad una galleria di personaggi sterminata – lunga un secolo – hanno contributo alla creazione del mito.

…e poi ancora: nel ritratto di Richard Stone, Sua Maestà indossa la Tiara Boucheron (1921).

4 Commenti a Camera con vista

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MirkoS

18 agosto 2009 - 19:51

wow l’ho letto tutto d’un fiato. Scrivi molto bene, complimenti. Noto che sei un cultore e forse un’amante della monarchia inglese visto che anche sul tuo vecchio blog hai scritto diversi post sull’argomento. Leggendo questo post ripensavo per un attimo alla nostra monarchia, a un Re codardo succube di Mussolini che fugge da Roma per paura di affrontare i tedeschi. Insomma, l’Italia si deve sempre distinguere nel bene o nel male.

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Watkin

19 agosto 2009 - 16:37

Ehm, ehm. (sai a quale riga mi riferisco)

(Scherzi a parte: non riesco a ricordare di aver mai letto un post didascalico così bello) :-)

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EduR

19 agosto 2009 - 20:23

@ MirkoS
mi hai scoperto!! Sono molto più che amante della Monarchia inglese ;P

@Watkin
Riga a parte… grazie. Detto da te è un grande complimento :)

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MarCi

5 novembre 2012 - 17:13

Post bellissimo, il nuovo taglio che hai dato al blog è azzeccatissimo.

Fermatevi...

...e datemi un solo minuto.

Certo deluderò qualsiasi vostra aspettativa, però vi racconterò anche di Principi e di Re, di Regine nei loro castelli e di moderne Principesse... vecchie favole e nuove storie, antichi splendori e sogni realizzati.

Tutto questo è Esprit du Roi, il nuovo royal blog italiano.

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